“Loro” è l’ultimo film di Paolo Sorrentino, uscito nelle sale in due parti, il 24 aprile e il 10 maggio, e racconta la parabola discendente del politico e dell’uomo Silvio Berlusconi che, ci piaccia oppure no, è stata una figura rappresentativa dell’Italia degli ultimi 25 anni. Come tutti i film del regista napoletano, ha diviso la critica in due schieramenti nettamente contrapposti: chi lo ha amato e chi lo ha odiato.
In un’intervista a Vanity Fair, Paolo Sorrentino ha dichiarato di non avere alcuna pretesa di fare film perfetti, ma “roboanti, straripanti, invasivi e disturbanti, perché si va in sala per essere scossi, subissati e magari nauseati”. Ha spiegato, anche, di aver pensato per anni di realizzare un film che avesse come soggetto Silvio Berlusconi, ma di aver atteso, perché voleva che il tema fosse spogliato da quella carica emotiva che accompagna l’attualità e la cronaca, sganciato dalla contemporaneità della politica. Il suo obiettivo, pienamente centrato a mio avviso, era quello di realizzare un film storico, un affresco di un’epoca ormai tramontata, durante la quale si è passati dalla “disincarnazione” della politica andreottiana a quella fin troppo carnale e vitale, ma al tempo stesso amorale e decadente di Berlusconi.
È un film sentimentale “Loro”, nel quale emerge l’uomo Silvio Berlusconi, circondato dalla sua corte, un circo fatto di faccendieri, politicanti, starlette televisive, escort, eppure incredibilmente solo, tanto che nessuno lo chiama per mai nome, ma solo “Lui”. L’uomo che non può fidarsi neppure dei suoi amici e collaboratori più stretti, che gli volteranno le spalle senza pensarci due volte, nel momento del bisogno. L’uomo che deve fare i conti con le proprie paure, quella del tempo che passa e di restare indietro, della vecchiaia e della morte. L’uomo che deve prendere atto del fallimento del proprio matrimonio e di aver perso l’unica cosa che ha avuto nella sua vita un valore effettivo, reale, la storia d’amore con Veronica Lario. L’uomo potente, eppure oppresso dal complesso di inferiorità, da quel delirio di onnipotenza che gli fa ripetere che “tutto non è abbastanza” e che lo fa rotolare inesorabilmente verso il dirupo, senza riuscire a porre un freno.
Un film che parla di “Loro”, intesi come “quelli che contano”, ma che racconta degli italiani, sia di quelli che hanno voluto credere a Berlusconi, sia di quelli che non l’hanno mai fatto, perché in un modo o nell’altro tutti siamo stati irretiti da lui, attratti dal sogno che proponeva, che ci esaltava o ci indignava, ma che ci faceva parlare, nel bene o nel male.
Io ho trovato emblematica la scena iniziale di Loro 1: una pecora, alla ricerca di un riparo dal caldo, si rifugia nella villa di Berlusconi, dove rimane inebetita davanti alla televisione accesa e non scappa quando la temperatura continua a scendere vertiginosamente, conducendola alla morte. Paolo Sorrentino ha dichiarato che non vi è alcuna spiegazione profondamente intellettualistica, ma che essa sia stata inserita per puro divertimento, eppure io non riesco a smettere di pensare che sia un’indovinatissima, tragicomica metafora della politica berlusconiana.