1) Cosa significa essere un poeta al giorno d’oggi.
Esistenzialmente soffrire e gioire una croce e delizia, un privilegio ma anche un fardello, un costante bisogno a tornare sulla scena del delitto per conoscere di più e scoprire nuovi dettagli. Tecnicamente sudare su letture e su stili, non improvvisare mai, non dare per scontato, avere un impegno con se stessi e il mondo con cui si deve necessariamente ancora comunicare, un lavoro fatto per una necessità ancestrale, preservandolo dalle influenze delle mode, delle vetrine fine a se stesse, creando uno spazio privato di produzione costante. Significa, anche, confrontarsi con nuove modalità di espressione e di diffusione, esempi sono fusioni, sovrapposizioni o contrappunti con l’arte grafica, il video e la musica, un mio progetto in questo senso è stato il booktrailer del mio libro Poesie del terrore (La Vita Felice, 2014) disponibile a questo collegamento: (Clicca qui per vedere il video). Far conoscere, quindi, il proprio mondo interiore attraverso mezzi che possono arrivare potenzialmente a un maggior numero di persone, consapevoli di come, però, la fruizione odierna del pubblico è meno meditata e più frammentaria e distratta.
2) Poeti si nasce o si diventa? Raccontaci il tuo percorso.
Si nasce con una sensibilità e acutezza da sottoporre poi a un duro lavoro. Le prime poesie sembravano folgoranti, successivamente ci si accorge di come e quanto possono migliorare in tecnica e contenuto. In adolescenza ho intrapreso una produzione febbrile, estremamente solitaria (il poeta fa quasi sempre da autodidatta, con i pro e i contro implicati), scrivevo una media di due o tre poesie al giorno; dopo anni ne avevo collezionate migliaia… L’orecchio si era, a quel punto, allenato molto bene e mi furono utilissime quel rigore e quella disciplina, tuttavia di quella intera produzione salvai pochissimo. Mi mancava sporcarmi con la vita vera, farmi impattare da tutto quello che poteva accadere. Andai via di casa e iniziai a patire cosa significasse stare davvero là fuori, cosa implicasse stare distante da un guscio protettivo. La penna ha così incontrato la strada fatta di un’iniziale perdizione e uno sperato e posticipato ritrovamento. La vita e l’esperienza insegnano il labor limae, così come il confronto con i grandi maestri del passato e dell’attualità il cui dettato fa da guida, ammonimento o stimolo.
3) Cosa non ti piace e ti piace della poesia in generale? Chi ti ha influenzato e chi hai evitato di assomigliare … e perché!
Del mondo della poesia non amo i circoli chiusi ed elitari, amo, al contrario, che la poesia possa essere libera e aperta in maniera tale da poter arrivare alla gente tutta, impiegando, ad esempio, come possibile azione sociale la declamazione dei versi tra le persone, diffondendo il fascino e il mistero della poesia nei luoghi in cui nasce, attraverso, promuovendo il territorio e il senso dei luoghi, per riconsegnare alla Natura il messaggio che da essa stesso è partito. Il narcisismo autoreferenziale costruito ad hoc da piccoli club inquinano, invece, l’aura mistica della pratica poetica e il suo essere profondamente libera da bandiere e ideologie. Mi hanno influenzato autori dall’impianto filosofico, da una parte, e autori che hanno fatto del vissuto personale una base per poter narrare e descrivere l’esperienza universale dell’essere uomo e abitare questo mondo. Ho evitato di somigliare a tutti gli autori che avevano già detto meglio di me, per la semplice ragione di far emergere, da un mare molto vasto, la mia autentica voce, dicendo solo quello che io potevo padroneggiare. Non amo, inoltre, il filone della poesia che per un isieme di caratteristiche potremmo definire sentimentale, o retorica, o barocca. La poesia è teoria, è scienza del cuore, punto di incontro perfetto e rarissimo tra cervello e viscere.
4) Devi usare 4 libri di poesia da regalare al tuo peggior nemico. Hai qualche titolo o nome di autore e perché?
Questa domanda è alquanto sadica! Direi che al mio peggior nemico potrei dare in regalo quattro libri di autori classici di haiku, a mio avviso la forma poetica più ardua: apparente semplicità, estrema sintesi, ma rischio elevatissimo, nella resa finale, di risultare banali, specie se dietro non c’è quella enorme mole di studio e cultura vastamente intesa, per dirla in sintesi uno sperimentare prima direttamente su di se l’esistenza e un filosofarne solo dopo, solo alla fine, come messaggio degno di poter essere lasciato. Il vero haiku coglie un momento propizio, un passaggio stagionale del proprio essere e per poterlo cogliere, dobbiamo avere antenne molto allenate, vibranti, mosse dal riconoscimento di una potente e vivida emozione. Potrebbe essere, allora, un messaggio indiretto per il povero destinatario, un modo velato per suggerire: chissà come risulterebbero i tuoi versi se dovessimo ricondurli all’essenziale, nella forma rivelatoria, sensibile e pensata, in egual misura, di una poesia giapponese!? È sotto gli occhi di tutti, infatti, come, nonostante la grande difficoltà, molti ci abbiano provato, ma con scarsi risultati.
5) In Italia ci sono circa 4 milioni e mezzo di poeti o presunti tali… ti fa paura la concorrenza?
No, proprio per le ragioni appena argomentate. Bisogna solo confidare nel tempo, ci penserà lui, prima o poi, a far emergere il giusto valore e il meritato riconoscimento.
6) Dicono che la poesia non vende, oppure solo pochi eletti riescono ad avere una certa notorietà. Cosa ti aspetti da te ? Fama, riconoscenza oppure solo piacere di piacerti.
Niente di tutto ciò, la cifra di un poeta inizia quando non ha aspettative su di sé, ha bisogno solo di impegnarsi per lavorare bene, ricercare intensamente, indipendentemente dalla fama che può ottenere. Chissà che fine farebbero i nomi di molti se non firmassero le loro opere, chissà se continueremmo ad apprezzare o lodare i loro scritti, come spesso accade sui profili dei social. Il poeta vero partorisce un figlio che non è più in suo possesso, una creatura animata da vita propria, di cui si è reso solo un medium, un tramite per poterlo affidare e consegnare al Pensiero e al Corpo di altri umani.
7)Dove e quando scrivi? Ha un determinato orario la tua cretività o luogo dove si fa sentire ancora di più?
Posso scrivere in ogni momento, ci sono, però, condizioni che favoriscono la concentrazione. Si tratta di andare incontro a un atto di volontà bisognoso di tempi e spazi per poter accogliere il silenzio e far affiorare il dettato interiore, con la sua urgenza e bisogno di esprimersi. Il messaggio poetico necessita di dedizione, proprio come all’interno di un rito religioso, per cui bisogna allestire una chiesa, farsi piccoli, ascoltare, annusare, genuflettersi… Emily Dickinson scriveva di notte, non a caso, momento in cui tutti i sensi si distendono e si comportano in modo più acuizzato e ricettivo. Scrivo al risveglio, o addirittura svegliandomi nel cuore della notte, acciuffando delle frasi arrivate in sogno, ma anche la sera, dopo il tramonto, quando si placano i rumori delle macchine. Ogni istante può essere, dunque, per me favorevole. Da sempre prediligo carta e penna, ma lo confesso: col tempo, nonostante abbia un pessimo rapporto con la tecnologia, ho ceduto alla tastiera, in alcuni frangenti quella virtualissima degli appunti che si possono prendere in un iPhone, per salvare la memoria volatilissima di noi uomini del Terzo Millennio, per non far sfuggire il ricordo di quell’intuizione, idea, illuminazione.
8) Quali poeti sconosciuti al grande pubblico ma notevoli che hai letto e ammirato nei social ti hanno colpito e perchè?
Questa è facile, ti ricordi cosa rispose Ulisse a Polifemo quando quest’ultimo gli chiese come si chiamasse? Burle a parte, guardo ai social con molta diffidenza, per quanto, come sostenevo sopra, sono una possibile e, in certe condizioni, valida piattaforma di diffusione della poesia. Se intendi un poeta o poetessa scoperto attraverso i social posso dire che ho amato qualche componimento, qualche libro, ma da qui a eleggerlo come grande autore (degno di grande interesse e ̔nota’, come dici tu) credo sia molto diverso. Il rigore e l’esigenza mi caratterizzano e mi portano a sostenere che la qualità vera, e molto al di sopra della media, non solo è poco comune, ma si dimostra nel lungo periodo. È la crudele legge di diffidenza che attanaglia il piccolo mondo della poesia, ne proviamo costantemente la precisa sensazione, una sensazione fisica e morale. Siamo, spesso e purtroppo, degnati di un maggior riconoscimento solo dopo la dipartita. Per non alimentare personalismi o per non creare rivalità e malcontenti preferisco, quindi, dire «Nessuno», mi risuonerebbe, altrimenti, troppo simile a una classifica di un premio letterario, ed io non amo molto i premi…
9) Diceva Charles Baudelaire «Il peggior nemico di un poeta è un poeta». Cosa voleva dire secondo te. Sei d’accordo?
Amaramente d’accordo. La frase è valida in assoluto, in ogni tempo storico, tuttavia credo Baudelaire si riferisse, nella fattispecie, all’ambiente parigino della seconda metà dell’Ottocento da lui stesso praticato, ai salotti frequentemente popolati da dandy autocompiaciuti della propria immagine e intelletto. Sento ancora risuonare il disprezzo di Rimbaud (prima di darsela a gambe levate) nel commentare apertamente con un «merde!» al termine di alcune letture poetiche giudicate da lui mediocri. La rivalità e invidie nel mondo della poesia sono proverbiali e fanciullesche. Non è un caso che, secondo una certa visione teorica, appartengono alla sfera della “psicosi” non solo quelle specifiche persone affette da questa sindrome, ma, più genericamente, anche i bambini e i poeti stessi, per l’appunto. Ma attenzione, e la storia ha cercato di insegnarlo: tra chi non conosce l’umiltà e tende a gonfiare smisuratamente il proprio Io non esiste la vera umanità. Il valore letterario, a quel punto, e di conseguenza, scade o diviene posticcio. Sono solito scegliere gli autori (in realtà è una elezione reciproca) anzitutto in base alla qualità di essere persone valide (nei pregi e nei difetti), prima di essere artisti.
10) Perchè acquistare il mio libro?
Semplicemente perchè c’è dentro tutto il mio cuore e la ricerca di un’intera vita.
11) Devi invitare un poeta a cena. Tra quelli ancora in vita e no, chi sceglieresti e perchè?
Inviterei Vivian Lamarque, potrebbe essere un ulteriore stimolo ad approfondire la sua scrittura. Trovo sia un’autrice da cui poter molto imparare se si considera la sua notevole dote a scandagliare, entrare in merito ai nodi della condizione umana, e lo fa con una linearità e leggerezza (alla Calvino) che, a meglio vedere, sono solo la superficie di uno spessore di strati significanti molto più sedimentati, una autrice fiabesca, in un certo senso, per di più attenta alla psicologia e alla letteratura per l’infanzia e per i ragazzi, una poetessa che ha dimostrato acume, saggezza e riservatezza, via maestra per poter entrare nel dolore e nella narrazione di altri esseri. Poter cenare con lei mi svelerebbe il suo lato umano, potrebbe essere un completamento per conoscerne meglio la figura. E forse, con lei, non proverei disagio se si creassero, durante la serata, dei momenti di silenzio, ci guarderemmo negli occhi per poterci riconoscere e contattare a un livello più profondo.
BIOGRAFIA
Saverio Bafaro nasce a Cosenza nel 1982, è psicologo, psicoterapeuta, poeta e critico letterario. Presso l’università «La Sapienza» diventa dottore in Psicologia dello Sviluppo, dell’Educazione e del Benessere, si specializza, poi, in psicoterapia Gestalt-analitica individuale e di gruppo. Ha pubblicato: Poesie alla madre (Rubbettino, 2007); Eros corale (e-book sul sito www.larecherche.it, 2011); Poesie del terrore (La Vita Felice, 2014). Sue opere sono apparse all’interno di antologie come Quadernario ‒ Calabria (LietoColle, 2017), di riviste letterarie e blog di poesia. È redattore della rivista «Capoverso» per cui ha curato il numero monografico Omaggio a Pavese (Orizzonti Meridionali, 2019). Di recente ha fatto da curatore della silloge postuma di Carlo Cipparrone Crocevia del futuro (L’arcolaio, 2021) e del racconto Stickeen ‒ Storia di un cane di John Muir (La Vita Felice, 2021).
Oggetti viventi
Hai portato alla luce
dal groviglio di cose a cui hai salvato il respiro
la caraffa arancio dal becco di oca
reliquia di ombre quotidiane
lascito di genealogie consumatesi al sole
madre archeologa
degli oggetti che vivono
da Eros corale (ebook disponibile su www.larecherche.it, 2011)
Eros corale
Non attimi più gloriosi
non misteri più semplici
hanno fuso
intere moltitudini
nella meta
pienamente raggiunta
La pianta del basilico
Tanto odorosa
la pianta del basilico
cresciuta alla luce
del mio mare,
un poco meno
la testa seppellita
nel vaso
orbite riempite
di terra bruna
estratte dal Sogno
e date in pasto ai vermi:
«Mangiate piano l’amore integro,
mangiate piano l’amore vero!»
Dentro e fuori
vedo ogni giorno
in segreto
lo strazio e il fiore
la dipartita e la vicinanza
la mia contromossa
ai fratelli assassini