François Nédel Atèrre
In questo appuntamento incontriamo un poeta amatissimo dal pubblico dei social; uno stile elegante, unico e intenso.
François Nédel Atèrre è una delle voci più interessanti del Sud Italia.
L’ho voluto intensamente portare in terra danese, per far conoscere agli estimatori della nostra lingua e della poesia le sue composizioni, piccoli gioielli di scrittura che tanto piacciono ai lettori italiani, inglesi e anche danesi.
Fra note biografiche e intervista, alla fine potrete leggere quattro composizioni dello stesso… un regalo ai lettori di questa mia rubrica.
…E per concludere nella sezione “Poesia questa conosciuta” … leggeremo alcuni brani del grande poeta Milo de Angelis.
Buona Lettura.
INTERVISTA
1) Che sensazione fa, essere “chiamato” poeta?
Non mi definisco mai “poeta”: non credo spetti a me riconoscere o accreditare
quello che scrivo. Posso dire cosa significhi la poesia per me, ma questa è altra cosa. Mi fa piacere, naturalmente, che i lettori mi seguano con attenzione, in qualche caso con affetto. Che apprezzino le cose che scrivo. Sono loro, in definitiva, a poter dire l’ultima parola.
2) Ti devono per forza di cose chiedere qual è il tuo stile. Come lo definiresti?
Sono un autore -e un uomo- dell’Ottocento, credo. Le mie incursioni nella modernità consolidano, invece di smentirla, questa appartenenza. La corrente e il periodo sono ancora i miei, gli edifici, i tavoli dei caffè immersi nel fumo, i passages. Le capitali europee su fiumi o canali, due in particolare, con la veduta del periodo. Sono, credo ancora, un lirico: classico nei fondamenti, famelico del futuro. Torno alla tradizione, rinnovandola, dopo la più accanita sperimentazione. Alcuni se ne accorgono, talvolta.
3) Quando ti sei sentito poeta per la prima volta?
Mi sforzo di non cadere in questo pericoloso tranello: se leggo qualcosa di Rimbaud o di Auden, devo fare uno sforzo grande per continuare a proporre qualcosa di mio. Diciamo che mi faccio perdonare studiando molto, ed esercitando verso me stesso la massima severità possibile.
4) Qual è il peggior nemico della poesia?
Il dilettantismo. La colpevole approssimazione. La negazione, per partito preso, della possibilità di farne ancora: l’ultima, credo, è la più pericolosa.
5) Si legge spesso che la poesia “è morta”, che non vende e non la legge quasi nessuno. Vorrei una tua considerazione in merito.
Ho sperimentato, in questi anni, l’esatto contrario di questa opinione: di poesia c’è bisogno, eccome. Probabilmente bisognerebbe modificare qualcosa nelle dinamiche della sua fruizione. A chi decreta ogni giorno la morte della poesia, vorrei ricordare che nessuno degli eventi o dei reading ai quali ho preso parte
-come autore o spettatore, negli ultimi cinque anni- ha mai avuto meno di cinquanta spettatori: senza sponsor, senza conoscenze eccellenti, senza aiuti dall’alto.
6) A quale poeta non vorreste mai essere paragonato (dato che purtroppo tutti fanno dei paragoni) e perché?
A nessuno, perché non amo i paragoni. Non mi piace l’habitus di procedere per somiglianze o associazioni forzate: ciascun autore è sempre diverso da un altro, anche se proviene da un retroterra comune. Alcuni non ammettono mai la possibile verità dei comprimari, posso comprenderlo: solo un banditore d’asta, diceva Wilde, può ammirare imparzialmente e allo stesso modo tutte le scuole d’arte. A me piace, invece, riconoscere la grandezza, quando la trovo, in quelli che incontro. Non aderirvi, nutrirmene: è uno dei piaceri più sottili che conosca.
7) Come si dovrebbe vendere la poesia ai giorni nostri?
Con attenzione, questo è sicuro: non è un prodotto come tutti gli altri. Andrebbe privata di quell’inutile alone di sacralità, ampiamente frainteso, che la danneggia irrimediabilmente.
Bisognerebbe trovarle uno spazio nella grande distribuzione, per le strade. Nelle botteghe, nelle fabbriche.
8) Ci sono, solo in Italia, circa quattro milioni di poeti. Vorrei una tua personale considerazione.
In Italia ci sono quattro milioni o più di qualsiasi categoria professionale: di allenatori, di tributaristi, di medici; di architetti e arredatori d’interni.
Pochi sono tali per studio o capacità: da noi chiunque crede di poter fare un mestiere che non è il suo, senza possederne titoli e attitudine. È un problema tutto italiano, credo. Va preso con sense of humor, di quello corrosivo, intendo.
Se i quattro milioni di poeti, tornando a noi, cominciassero a farsi qualche domanda, ad esempio chiedersi “che cosa voglio dire?”-“come voglio dirlo?”, credo che il numero si assottiglierebbe. Considerevolmente.
In ogni caso, meglio avere alcuni milioni di poeti -il cui percorso rispetto comunque, anche quando è diverso dal mio- che inquietanti schiere di sedicenti politologi, o economisti della domenica.
9) Quello che ami e vorresti fare tuo della scrittura di un poeta del web che ritieni speciale, che ami leggere, che consiglieresti a chi non lo/la conosce ancora e perché.
Mi piace il percorso di Sam Riviere, il suo spogliare il testo poetico di confortanti, riconoscibili topoi: difficile riportare la sua esperienza fuori dell’universo inglese contemporaneo, ma mi piacerebbe avere il suo registro, colloquiale e colto, intuitivo -abbreviazioni tipiche degli sms e delle e-mail- e complesso.
Anche Kathleen Jamie, il suo essere una sola cosa con la Natura che canta, cupa e luminosa a un tempo. Nessuno dei due fa un uso smodato del web, ma li vedo spesso citati dai frequentatori dei social, soprattutto in UK.
In Italia seguo con interesse Gabriele Galloni. E Bruno Di Pietro. E Vanina Zaccaria, e Melania Panico: percorsi differenti per linguaggio e metodo, ma poeti straordinari, tutti. Consiglierei vivamente di leggerli, sì.
10 – Hai la possibilità di far resuscitare e andare a cena (bacchetta magica) con uno dei poeti che ami di più. Chi sarebbe e perché?
Dovrebbe essere un convito, più che una cenetta intima! Scherzo, ma neanche troppo: premesso che non avrei bisogno di resuscitarli, perché li considero più vivi di tanti automi che camminano, ci sarebbero: Rimbaud a capotavola, che contende il posto a Keats e a Shelley, Auden, Yeats, Baudelaire: Ungaretti, Saba, Luzi, Gozzano: D’annunzio (quello delle Laudi), Pascoli: la Achmatova, che adoro, Mandel’stam: Milosz e Herbert: Brodskij. Qualcun altro sul pianerottolo, ma con la porta di casa aperta.
Non lascerei nessuno in piedi, aggiungerei sedie e tavolini di fortuna. Li intratterrei tutti, direi loro: “vi ho studiato tanto, amato a lungo: adesso, per favore, ascoltate qualcosa di mio e ditemi cosa ne pensate”.
Ecco, farei così. Per lo champagne, Il Dagonet 1880 -the heavy amber coloured, indeed almost amber-scented champagne-: un doveroso omaggio alla Ballata dal carcere di Reading.
François Nédel Atèrre, da Mistica del quotidiano, Terra d’Ulivi Edizioni 2018
Poesie
***
Dritto negli occhi, un lampo, l’altopiano:
stoppie e ginestre tacciono, tra i monti.
Sassi rigati e vento, pioggia nuova,
frutti maturi al grembo, la radura.
***
Hai la perfetta geometria di un tempio,
le volte salde, tra i palazzi nuovi.
Le tue colonne bianche, dritte ai fianchi,
hanno respinto i barbari e gli incendi.
Per celle piccole, rivolte a oriente,
proteggi ancora i riccioli e la fronte
di dèi d’avorio calmi e luminosi.
Ero nel tuo recinto, nelle notti
di neve o esposto al caldo soffocante
che tiene a bada sacerdoti e ancelle.
Dei muri e dei dipinti so il colore
e le ragioni. Spesso, alla tua pietra
ho fatto nuove metope, iscrizioni
senza scalpello, con le mani nude.
***
Le cose ci dimenticano, è un fatto.
Ci voltano le spalle, se ne vanno.
Povero bene, il nostro tempo è andato
a riposare, come un sole stanco,
sul muschio delle pietre intorno al lago,
alla sua bocca d’acqua, luccicante,
mossa soltanto da un cavallo bianco.
Nemmeno la più piccola memoria
di noi qui avanza, quel che siamo stati
è pula al vento. Anche le insegne nuove
dicono di altri negozi, diversi
dai soliti ritrovi che avevamo
lungo la strada, finito il lavoro.
– Che dirti, se ti vedo? – Che passare
forse è più atroce ancora che finire.
Biografia
François Nédel Atèrre (pseudonimo di Francesco Terracciano) è nato a Napoli, dove vive e lavora, nel 1967.
È laureato in Economia e Commercio.
La letteratura, contrappunto alla formazione universitaria e professionale, è costantemente al centro dei suoi interessi: lo studio della poesia europea – del modello italiano, inglese e francese così come delle significative testimonianze russe del Novecento – ha motivato la sua partecipazione a numerose iniziative, mantenendo vivo il contatto con una realtà complessa e in continua evoluzione.
Ha pubblicato una raccolta di poesie, Phonè (1992) e un volume di racconti, Il Salice Bianco (1993), entrambi con lo pseudonimo di Francesco Miti.
Numerose le sue collaborazioni con riviste letterarie e le partecipazioni a progetti editoriali, rassegne e seminari.
Del 2018 è la raccolta poetica “Mistica del quotidiano”, Terra d’Ulivi edizioni.
***
Dell’impero ignoriamo il confine,
le guarnigioni fragili, assediate
da barbari cordiali, inclini al bere.
Di decadenza abbiamo le nozioni
esauste, sprofondate nella sabbia
dei naufraghi con l’acqua nei polmoni.
Manchiamo, preoccupati di iscrizioni,
di dare ascolto a scricchiolii del legno,
rimproveri per utilizzi impropri.
Il piombo ci sta avvelenando, è in atto
un ordinato sterminio, festoso
che ignora le stoviglie e i grani ai tubi.
Una codifica nuova ci cambia
ogni mattina il viso, ma restiamo
vecchie monete col bordo rigato,
profili consumati dal passaggio
di mano in mano, e non ci sono acquisti.
F.N.A.
POESIA :QUESTA CONOSCIUTA
Oggi vi presento un poeta molto popolare e ancora in vita. Un giocoliere della parola, una delle voci più significative della poesia italiana contemporanea, vive a Milano; classe 1951.
La poesia di Milo De Angelis è impregnata della sua esperienza di vita; una capacità grandissima di descrivere il disagio della esistenza, il dolore dell’esserci. Una poesia, che va dritta al cuore e delle cose che ci circondano e del loro mistero esistenziale. Per chi si avvicina a questo poeta, consiglio uno dei suoi capolavori dal titolo “Tema dell’addio”, un libro che ti rapisce grazie al suo meraviglioso descrivere il ”dolore” derivato dalla perdita di una persona cara… Veramente toccante.
Altre suepubblicazioni : Somiglianze (Guanda, 1976), Millimetri (Einaudi, 1983), Terra del viso(Mondadori, 1985), Distante un padre (Mondadori, 1989), Biografia sommaria(Mondadori, 1999), Tema dell’addio (Mondadori, 2005). Ha scritto una fiaba (La corsa dei mantelli, Guanda, 1979) e un volume di saggi (Poesia e destino, Cappelli, 1982). Ha tradotto dal francese (Baudelaire, Blanchot, Drieu La Rochelle) e dalle lingue classiche (Virgilio, Lucrezio, Antologia Palatina). Nel 2008, presso La Vita Felice, è uscito Colloqui sulla poesia, dove appaiono le sue principali interviste. Nello stesso anno viene pubblicato un volume che raccoglie tutta la sua opera in versi (Poesie, Oscar Mondadori). L’ultimo libro di versi è Quell’andarsene nel buio dei cortili (Mondadori, 2010).
Alcune sue poesie:
SOLTANTO
soltanto questo crescere
indifferente allo sguardo e pieno
di ciò che ha visto
era possibile: se ci sono
due barche
non contava il loro punto d’incontro, ma la bellezza
del cammino dentro l’acqua: solo così,
solo adesso, non spiegare.
Ed è atroce
ma bisogna dire di no alla sua fronte che
piange e non capisce, e ama
come per millenni si è amato, promettendo
in una terrazza buia, accarezzandosi
tra le foglie minacciose.
Viene la prima (Somiglianze, 1976)
«Oh se tu capissi:
chi soffre
chi soffre non è profondo».
Sobborghi di Milano. Estate. Ormai
c’è poca acqua nel fiume, l’edicola è chiusa.
«Cambia, non aspettare più».
Vicino al muro c’è solo qualche macchina.
Non passa nessuno. Restiamo seduti
sopra il parapetto. «Forse puoi ancora
diventare solo, puoi
ancora sentire senza pagare, puoi entrare
in una profondità che non
commemora: non aspettare nessuno
non aspettarmi, se soffro, non aspettarmi».
E fissiamo l’acqua scura, questo poco vento
che la muove
e le dà piccole venature, come un legno.
Mi tocca il viso.
«Quando uscirai, quando non avrai
alternative? Non aggrapparti, accetta
accetta
di perdere qualcosa».
Semifinale (Biografia sommaria, 1999)
La Doxa mi chiede per chi voterò. La voce
è di un ragazzo che, dall’altra parte, respira.
Non so quale chiarezza dentro la rovina. Tutto
ritorna qui, confine del luogo. Quel non parlato
di chiodi per terra. Il Professor D’Amato spiegava
un pronome… nemo: nessuno, non nemo: qualcuno Nessuno
giungerà oltre le vene, è semplice, ragazzi. Qualcuno
è scomparso o comunque non dà notizie. Il postino
mi consiglia di guardare meglio nella buca,
anche in quelle vicine. Guarderò. Neminem
excipi diem: per nessun giorno ho fatto eccezione. Morire
è dunque perdere anche la morte, infinito
presente, nessun appello, nessuna musica
di una chiamata personale. Oltre le vene che furono rito
e dimora, milligrammo e annuncio, grido infinito
di gioia o di soccorso, nessuno mai
oltre queste vene. È semplice, ragazzi, nessuno.
I bastoni (Millimetri,1982)
I bastoni
hanno frantumato l’ultimo secchio
e ora il villaggio fa
silenzio
nella corte marziale. Ecco
l’inchiostro, tra una moltitudine
di assetati in orario,
un cognome:
tutte le uova molli
giungeranno
per forza o per disprezzo
e quel
faraone darà la staffilata
che ancora oggi ferisce
e le fa terrestri.
Chi genera il tempo
ha il volto arato e con pazienza ripete
che noi ubbidiamo.
MILO DE ANGELIS