- Cosa significa essere un poeta al giorno d’oggi.
Significa aiutare le persone ad allenare la mente al riconoscimento della bellezza, attitudine che purtroppo con il mondo frenetico a cui ci stiamo abituando, va sempre via via svanendo. È necessario riprendere coscienza della sacralità del tempo che abbiamo a disposizione e cercare di sfruttarlo non seguendo l’impulso frenetico che sfocia solo in materialismo sterile, ma provando ad utilizzare i canali più idonei all’assorbimento della bellezza, un processo vitale che stiamo trascurando troppo. Il poeta credo abbia questa responsabilità a cui non può e non dovrebbe sottrarsi.
- Poeti si nasce o si diventa? Raccontaci il tuo percorso.
Io credo che non si nasca mai già ”costruiti”, ma che si possa avere una qualche predisposizione che ci orienta, nel corso della vita, verso una direzione in modo da completarci, da farci sentire realizzati. Nel mio caso la stella polare è la poesia, ma questo concetto può valere per qualsiasi altra passione che fa bollire le vene.
Il mio percorso poetico nasce curiosamente grazie al deserto iraniano, dove mio padre ha lavorato per un lungo periodo negli anni ’80 e laddove scriveva le sue di poesie che prontamente mi leggeva una volta tornato a casa. Ero innamorato dalla musica delle parole, dal benessere che mi trasmettevano; così, in età adolescenziale ho cominciato a scrivere i miei primi versi, prendendomi poi, nel corso degli anni, molte pause, scrivendo ad intermittenza, trascinato magari da picchi emozionali dettati dalle vicissitudini che vivevo. Solamente negli ultimi 5-6 anni ho approfondito questa mia passione in maniera assidua, dandole maggiore spazio nella mia quotidianità, iscrivendomi a siti poetici sotto pseudonimo. Notando il divenire di una certa empatia con coloro che si soffermavano sulle mie poesie e restando piacevolmente colpito dall’entusiasmo che mi trasmettevano i loro ”feedback”, presi la decisione di inviare quanto scritto fino ad allora a vari editori. Ad ottobre 2019 ho pubblicato la mia prima silloge ”Tra il Piave e la luna” per Sillabe di Sale editore, per me è stato come un taglio del nastro che ha dato la definitiva direzione alla mia esistenza. Infine, nel 2020, ho avuto anche l’onore di essere presente con 3 mie poesie nell’antologia di poeti contemporanei ”Kairos” (CTL editore).
- Cosa non ti piace e ti piace della poesia in generale? Chi ti ha influenzato e chi hai evitato di assomigliare … e perché!
Della poesia ne posso parlare solo bene, semmai sono i poeti che talvolta la rendono meno interessante, specialmente quando vogliono espropriarne la funzione principale che è quella emozionale mettendo in vetrina solo il proprio ego o quando esercitano uno spirito competitivo che travalica ogni principio nobile.
Paradossalmente le mie influenze maggiori non derivano da poeti o poetesse, bensì dai cantautori. Sono un divoratore seriale di musica e trovo che molti testi di canzoni siano vere e proprie poesie, che quando vengono affiancate da arrangiamenti efficaci conferiscono la maiuscola alla parola Poesia.
Però, restando prettamente nel territorio poetico, il riferimento principale rimarrà sempre Giacomo Leopardi per il modo con cui ha utilizzato il dolore in poesia come terapia esistenziale, e poi sono molto affezionato ai poeti confessionalisti statunitensi come Anne Sexton, Sylvia Plath, Robert Lowell che sono costantemente fonti di ispirazione utili al mio orientamento poetico.
Non evito nessun poeta, ci mancherebbe, ognuno può divenire fonte di arricchimento.
- Devi usare 4 libri di poesia da regalare al tuo peggior nemico. Hai qualche titolo o nome di autore e perché?
Non mi permetterei mai di usare la poesia a scopo offensivo. Semmai, servendomi di essa, proverei a riallacciare un rapporto col mio ”nemico”, avvicinandolo/a e leggendogli/le ’Vivi o muori’ di Anne Sexton e spiegandogli/le che ognuno di noi porta in sè una sofferenza esistenziale, piccola o grande che sia, perchè dovremmo quindi perdere tempo ad odiarci l’un l’altro/a?
- In Italia ci sono circa 4 milioni e mezzo di poeti o presunti tali… ti fa paura la concorrenza?
Assolutamente no, proprio in riferimento a quanto detto prima. Il poeta, se si costituisce mezzo per arrivare alla nobiltà di certi sentimenti e certe sensazioni è il benvenuto tra le mie letture e le mie amicizie.
- Dicono che la poesia non vende, oppure solo pochi eletti riescono ad avere una certa notorietà. Cosa ti aspetti da te ? Fama, riconoscenza oppure solo piacere di piacerti.
Va anche detto che la poesia vende poco a causa di discutibili scelte promozionali da parte di qualche catena di librerie e/o di alcune linee editoriali che non le danno la luce necessaria.
Personalmente non voglio crearmi alcuna aspettativa, bensì voglio gustarmi con emozione inedita ogni vibrazione che arriva da chi mi legge e mi espone le proprie impressioni. Scrivo con l’intento di condividere col mio lettore ogni percezione che mi plasma, nella speranza che venga accolta sotto forma di carezza, specialmente in coloro che si rifugiano nella lettura di poesia per lenìre il proprio dolore esistenziale.
Il lettore deve sentirsi coinvolto e possibilmente immaginare il poeta come se gli/le stesse accanto e gli/le stesse parlando, lasciando agonizzante quella sensazione di solitudine che è tra le peggiori in assoluto.
- Dove e quando scrivi? Ha un determinato orario la tua cretività o luogo dove si fa sentire ancora di più?
Per risponderti cito un pensiero bellissimo di Alessandro Bergonzoni, uno dei più grandi filosofi contemporanei erroneamente e sbrigativamente descritto come comico: <<E’ la parola che viene da me e mi chiede ”posso arrivare? Mi fai entrare?”>>.
Non ho nè orari, nè luoghi preferiti per accogliere la poesia, semplicemente mi lascio invadere come, dove e quando vuole. E’ indispensabile e doveroso da canto mio lasciare spalancata la porta o addirittura rimuoverla, in quanto la parola deve percepire che troverà in me un rifugio ed una culla su cui posarsi, e da qui propagarsi.
- Quali poeti sconosciuti al grande pubblico ma notevoli che hai letto e ammirato nei social ti hanno colpito e perchè?
Sono stato per anni un accanito anti-social, probabilmente perchè con la tecnologia ho un rapporto ”conflittuale”, ma in buona parte me ne sono pentito; da quando sono iscritto su Facebook nei vari gruppi di scrittura, ovvero da quando ho pubblicato la mia silloge, ho avuto la fortuna di conoscere tanti poeti che mi fanno emozionare quotidianamente e che mi hanno insegnato molto.
Ne avrei di nomi da fare, ma con la memoria precaria che mi ritrovo temo di dimenticarmi di qualcuno e non vorrei deludere nessuno, dico soltanto che ci sono talenti straordinari tra le pagine elettroniche dei social, secondo me gli editori dovrebbero fare opera di ”scouting” utilizzando anche questo genere di canale comunicativo.
- Diceva Charles Baudelaire ”Il peggior nemico di un poeta è un poeta ”. Cosa voleva dire secondo te. Sei d’accordo?
Uno degli errori maggiori che potrebbe compiere un poeta è di prendersi troppo sul serio autoproclamandosi ’vate’ o credendo di avere la perfetta definizione di poesia in tasca, sarebbe un vero atto autolesionista e farebbe del male alla poesia stessa; credo si riferisse a questo Baudelaire e se così fosse avrebbe pienamente ragione.
- Devi invitare un poeta a cena. Tra quelli ancora in vita e no, chi sceglieresti e perchè?
Pier Paolo Pasolini, perchè ho la netta impressione che sia stato l’ultimo uomo a raccontare la verità in questo Paese, mediante tutta la sua straripante arte. Sento il bisogno di riascoltarla, ma solo da lui, solo attraverso la sua voce.
Biografia
Mi chiamo Michele Carniel, sono nato il 15 gennaio 1978 a San Donà di Piave, dove attualmente vivo con mia moglie. Sono un progettista navale e lavoro a Marghera (Ve).
Ad ottobre 2019 ho pubblicato per Sillabe di Sale editore la mia prima silloge “Tra il Piave e la luna”.
Nel 2020, 3 mie poesie sono state selezionate per l’antologia di poeti contemporanei “Kairos” (CTL editore).
Ricordi?
Il bianco non fingeva
e l’anima restava aderente al petto.
Abbiamo fuso le mani
osservando il sole colare sul rame.
Persino i grani di sabbia
imitavano il nostro amore,
stretti come il respiro
che non uscì dalle nostre labbra sigillate.
Abbiamo sorpreso Dio arreso all’invidia
per la vastità con cui abbiamo colmato il giorno.
Nell’aria si era infiltrata un’eco
che, rapita,
non aveva più nessun vuoto da riempire.
“Non smettere”
mi imploravi,
mentre inquieto imitavo l’eternità.
Un vento invidioso divide le ciocche dei tuoi capelli
e le sbandiera come dimostrazione della sua esistenza,
è ciò che rende questo secolo vissuto?
E’ evidente come questi giorni lampeggino
diventando lucciole smarrite ad ogni nostro bacio.
Io, agli angoli delle labbra
diffondo questo amore per non vederlo sbriciolarsi
al principio di ogni buona intenzione,
ma è nell’intimità delle nostre risposte
che diamo seguito al calpestìo del fragile quotidiano,
che resta irrimediabilmente aggrappato alla foce
delle esistenze che abbiamo generato.
Quello che proviamo giustifica ogni notte evaporata
nell’attesa di un gesto che sa di umanità.
Lontano da te ho svuotato le tasche di quei ritagli di giornale
dove giacevano le nostre memorie rapite.
Per come conosciamo noi la vita, la morte non esiste più.
Silenzioso come le chiese antiche
adagiato orizzontale sul legno scomodo
rotondo come la paura,
questo è quello che sono.
L’aria che mi disprezza
riempie ogni luogo
dove la mia identità crea volume,
questo è quello che valgo.
La goccia su cui s’arrampica la mia poesia
inumidisce il contorno di ogni fotografia
invecchiando ogni attimo che inseguo.
Abbracciami con tutta la carne che possiedi
perché cosparso di te voglio morire.
Sono solo un uomo alle porte dell’inverno
in equilibrio sullo stelo dell’ultimo fiore.