10 domande a Federico PREZIOSI :

di Pablo Paolo Peretti
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Chi, secondo te, può fregiarsi del titolo ”poeta” e perché?

Non saprei se quello di “poeta” possa essere un titolo a tutti gli effetti, di sicuro non è di facile attribuzione. Per me può definirsi poeta chi elabora un linguaggio differente da quello presente in altri ambiti. Ogni grande arte ne ha uno: la musica ha un linguaggio fatto di suoni, ritmo e pause; la pittura si realizza con i colori e le forme; la cinematografia si avvale di immagini, sequenze, inquadrature ecc. Si potrebbero dire tante cose ma, per farla breve, un poeta è colui che rappresenta la condizione di se stesso e/o del mondo attraverso un linguaggio di parole, una facoltà comunicativa da non confondere con la lingua e nemmeno con la velleità della comprensione. La parola in sé possiede ritmo e colore, evoca simboli e si avvale di tutta la potenza etimologica e d’utilizzo riconducibile alla interpretazione. Sta al poeta organizzare la disposizione testuale attraverso un sapiente dosaggio di ingredienti anche insoliti, se vogliamo. In sintesi, il poeta è per me un artigiano della parola.

Com’è nata la tua poesia e come definiresti il tuo stile.

È nata pochi anni fa attraverso la frequentazione di alcuni gruppi Facebook che hanno acceso in me la voglia di scrivere in versi. Ho sempre avuto il bisogno di esternare una verve creativa e, prima di intraprendere questo cammino con la scrittura, lo facevo con la musica. Si può dire che spesso cerchi proprio la musica nei miei versi e che le mie suggestioni siano continuamente guidate dai suoni.
Ho cominciato con la slam influenzata dal rap e ne è uscito fuori il mio esordio del 2017, “Il beat sull’inchiostro”, tutto basato sul ritmo. Successivamente mi sono lasciato conquistare da un sentire femminile, o meglio ho lasciato che venisse fuori un lato della mia personalità attraverso i versi. La testimonianza di questo passaggio è contenuta in “Variazione Madre”, del 2019, un’opera in cui mi immedesimo nel femminile a partire dal corpo quale sede della diversità biologica che intercorre tra uomo e donna. Qui il ritmo si è mitigato e ha lasciato posto alla melodia delle parole, anche se le tracce del passato non sono del tutto scomparse.
Oggi mi esprimo attraverso testi maggiormente concisi, volti a far emergere il vuoto e la mancanza anche attraverso una ricerca lessicale più accurata. Sono ritmicamente affascinato dal potere degli accenti contenuti nelle parole e il mio senso musicale si è diretto verso questi elementi per ricorrere a rime, assonanze, allitterazioni all’interno di una struttura più ragionata e leggermente meno istintiva. Mi considero un Versipelle, ossia cerco sempre di cambiare, di immedesimarmi anche in ciò che è altro da me. Spesso sono alla ricerca della convivenza degli antipodi anche a costo di sbagliare e di commettere passi falsi. Se c’è una cosa che non mi interessa in poesia è proprio quella di restare da una parte sola, è così noioso! Non amo le gabbie, a partire da quelle che mi costruisco da solo e di cui mi servo periodicamente.
Pertanto lascerei che le definizioni sul mio stile le diano i critici e gli addetti ai lavori: credo che avere un’immagine di sé passando esclusivamente da una definizione personale sia riduttivo e, in certi casi, anche egoistico.

Baudelaire scriveva che il peggior nemico di un poeta è un poeta. Cosa ne pensi?

Un poeta difficilmente può essere nemico di un altro poeta per questioni puramente poetiche, almeno di questi tempi. Le ragioni, a mio avviso, hanno origine di natura diversa da quelle strettamente legate alla scrittura. Sto parlando del carrierismo (che per quanto mi riguarda è una cosa semplicemente ridicola in poesia, considerando anche il numero esiguo di lettori) o di un’ideologizzazione eccessiva che vorrebbe distinguere il bene dal male nella scrittura. Tuttavia non dobbiamo mai dimenticare che l’arte è libertà. L’ideologia si incancrenisce, mentre il guizzo o il genio hanno effetti duraturi nei secoli. Un vero poeta è tale al di là delle correnti o dei movimenti di appartenenza.

Perché la poesia al giorno d’oggi vende poco?

La poesia ha sempre venduto poco perché richiede un certo impegno da parte del lettore, il quale non sempre riesce a entrare in relazione con il linguaggio poetico a livello generale. Inoltre, in un’epoca di slogan, di risposte e interpretazioni della realtà così veloci e accattivanti, la poesia è vista come una mera perdita di tempo. Tra l’altro oggi siamo abituati a misurare tutto attraverso i soldi e il successo, cosa impensabile ai tempi di Foscolo o Leopardi. Se la poesia vende poco, assistiamo al contempo al fenomeno che vede molti (pseudo) poeti affermati impegnati nella spettacolarizzazione della parola ed erodere sempre di più il limite che intercorre tra l’arte versificatoria e l’intrattenimento. Certo, andare oltre gli schematismi è compito dell’arte, ma non si vive di sole violazioni. È un’epoca dove il brand conta più del contenuto in sé: l’estro va benissimo e anche la dichiarazione poetica, ma questo non giustificherà mai il valore della poesia che non cede alle velleità modaiole da esaurirsi nel giro di poche stagioni. La poesia, invece, deve avere un’ambizione eterna, anche quando presenta contenuti bassi, anche quando vuol far ridere o ridicolizzare. La poesia vive un paradosso, quella di non poter seguire le regole del mercato anche se ha bisogno proprio di un mercato per beneficiare di una diffusione oggi. In ogni caso, diffido fortemente da chi sostiene che il poeta debba necessariamente semplificare il proprio linguaggio al fine di raggiungere un numero di lettori più ampio. I lettori vanno rispettati anche nel dissenso e nelle distanze, la semplicità a tutti i costi sa essere ben più pretestuosa e falsa di certi contorsionismi linguistici, in quanto ci si illude che il compiacimento e il consenso equivalgano alla comprensione e a un rapporto onesta tra poeta e lettore. Io le chiamo prese per i fondelli, perché l’animo umano va esplorato e rappresentato anche toccando ciò che il lettore comune non vuol vedere. Ci sarebbe anche da fare, inoltre, un discorso sulle scuole, troppo impegnate ad appiccicare attributi ideologici e morali alla poesia a scapito del senso critico che, se sviluppato, gioverebbe non poco al mercato del libro… e non solo.

È più importante vendere ed essere riconosciuto dal grande pubblico o rimanere un’icona per un ristretto gruppo di veri intenditori di poesia?

Essere riconosciuti dal grande pubblico fa piacere, inutile negarlo, ma dipende da come ci si arriva: alla gente piacciono i personaggi e le storie, tuttavia penso che tanti grandi poeti abbiano operato quasi nascondendo certi aspetti personali portati alla luce solo in una fase successiva. Per me la divulgazione di un’opera è fondamentale, altrimenti non so quanto abbia senso pubblicarla, considerando anche la saturazione del mercato. Ad ogni modo credo che ogni poeta, se ha davvero qualcosa da dire dal punto di vista stilistico e tematico, debba interrogarsi sui propri lettori. Nel mio piccolo, penso che la poesia sia un mezzo per fare i conti con la consapevolezza umana. In Variazione Madre mostro la mia parte femminile attraverso i versi perché ho sentito l’esigenza di fare mia questa tematica e di trasmetterla in quanto persona attraverso un linguaggio diverso. Il femminile non è solo una questione delle donne, la definizione dei ruoli passa attraverso un accordo tra le parti e, a partire da questo presupposto, cerco un contatto con dei lettori, ovvero una comunità che accolga la parola e la faccia propria. Se questo messaggio di immedesimazione venisse gratificato anche dalle vendite ne sarei contento, ma il mio intento resta principalmente artistico e intellettuale. L’attivismo si deve focalizzare sulla poesia, non ho la pretesa di fare della scrittura poetica un lavoro, anche perché essere costretti a pubblicare libri, magari scadenti, e andare in giro a fare i santoni o i fenomeni da baraccone per vivere non rientra nelle mie ambizioni. 

Tre libri di poesia che lanceresti dalla torre ?

Farei un torto a qualche contemporaneo e ritorneremmo a quanto detto alla domanda precedente in riferimento ai poeti nemici di se stessi. Pertanto mi impegno a trattenere tutto ciò che leggo, tanto ci penseranno i posteri a fare pulizia. 

Tre libri di poesia che non potresti mai fare a meno di rileggere per la centesima volta.

Variazioni Belliche di Amelia Rosselli, Ossi di Seppia di Eugenio Montale, Nome e soprannome di Simone Cattaneo

Tra i poeti contemporanei conosciuti via web e ancora sconosciuti al grande pubblico, quali ti hanno colpito di più e perché ?

Sono tantissime le voci interessanti sul web e spendere una buona parola per tutti quelli che incontrano il mio gusto non è affatto semplice. In ordine sparso cito: Beatrice Orsini per la capacità di decostruzione della parola e il senso scenografico della poesia; Luca Crastolla per la sua abilità di collezionare oggetti-parole, salvarli dall’uso comune e dare loro nuova vita; Floriana Coppola per la sua capacità analitica profonda che non teme il coinvolgimento dei sentimenti umani più nascosti; Ketti Martino per il tratto sintetico, esistenziale e penetrante in poche gocce; Ilaria Sordi per fare del cielo una meta ambita senza rinunciare alle proprie “dannazioni”; Marina Marchesiello per l’immagine pacificatoria dell’umanità che passa attraverso la carne e le ossa. Ce ne sono tanti altri che meriterebbero di essere citati, ma rischierei di fare una lista infinita.
 

  1. Come si fa a distinguere una bella poesia da un bel pensierino buttato lì? 

 

La poesia ha l’occhio lungo e il passo lento, il pensierino buttato lì, invece, è spesso accattivante ma si consuma rapidamente. Una bella poesia, per me, resiste ai secoli. Poi posso anche sbagliarmi perché, per fortuna, non esiste un metodo scientifico per stabilirlo. Certo, la confusione tra frasette e versi è un male diffuso, pertanto, citando Valentino Zeichen, una stoccata al proliferare di versucoli soprattutto sul web la vorrei dare: “È bene tenere le unghie corte / lo stesso vale per i versi; / la poesia ne guadagna in igiene / e il poeta trova una nuova Calliope / a cui ispirarsi: la musa podologa”.

Hai la possibilità di uscire a cena con qualche poeta non più in vita. Chi sceglieresti e perché?

Se potessi lo chiederei ad Anne Sexton, perché scriveva dei versi meravigliosamente viscerali e perché ho una sorta di ammirazione per le donne che mettono in discussione “le regole del gioco”; stessa cosa per Sylvia Plath, la quale possedeva un’immaginario simbolico molto molto carico e intrigante. Naturalmente lo chiederei anche ad Amelia Rosselli perché i suoi versi mi hanno sventrato e non ho mai capito il perché. Lei mi ha insegnato che si può scuotere anche senza essere diretti, che la parola si deposita, sedimenta e brucia. Poi andrei a cena con Montale perché sono innamorato dei suoi dettagli e dalla capacità di usare l’oggetto in poesia, ma non gli chiederei della parola.

 

Biografia

Federico Preziosi nasce ad Atripalda (Av) nel 1984. Oggi vive in Ungheria dove insegna lingua e cultura italiana a Budapest. Si avvicina alla poesia grazie all’incontro con Armando Saveriano, con il quale fonda il gruppo Facebook “Poienauti”, successivamente diventa moderatore del gruppo “Poeti Italiani del ‘900 e contemporanei”. La frequentazione virtuale con numerosi poeti provenienti da tutta Italia porta alla costituzione di “Versipelle”, una comunità poetica che esprime la propria voce attraverso il sito www.versipelleblog.wordpress.com. Nell’aprile 2017 vede la luce il suo esordio, Il Beat sull’Inchiostro, poetry slam ideata su intrecci di rime e assonanze a ritmo di rap. Nel luglio 2019 viene pubblicata da Controluna, nella collana Lepisma Floema, Variazione Madre con la curatela di Giuseppe Cerbino, un’opera in cui il poeta irpino si immedesima nel femminile cercando di emularne il linguaggio attraverso poesia. Nel 2020 esordisce con il progetto musicale “La lacrima della canzonetta” scrivendo le liriche e prestando la propria voce. Le sue poesie sono state pubblicate su antologie, riviste online e quotidiani nazionali.

Poesie

Atom Heart Mother

quando la luce mi scaldò i seni
furono d’attese voragini. Non pensavo
poter essere madre… Rifugiavo la vita
su nel solaio, così come
toccavo con mano le forme. Dita
a fertilizzare acerbe escrescenze
e in dote il dono. L’esplorazione
il mentre del tempo, il mentre fuggente
il mantra del corpo che il tempo si perde.
Sbocciai come donna, senza essere madre
pronunciando le labbra al sentire carnale.
Protesi negli acini tesa la cinta
celando gli incavi. Le mani
imbrattate di mosto, le mani narcise
facevano posto. Cambiavo d’aspetto, capezzoli grossi,
di carne le spille sferzavano l’uomo
di carne il solo e unico avvento. Non madre
ma donna d’aspetto. Furono cellule
a cristallizzare nel ventre gli umori. Di perle
un nido di palmi pietosi. Sentivo parlare
il corpo ed il frutto infine venne
il principio di tutto. Felice
urlai la mia vendetta! Essere
una madre e una donna
una sola cosa.

da Variazione Madre (a cura di Giuseppe Cerbino), Controluna – Lepisma Floema 2019

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Ho del mare da piantarti nella gola

questo mare che mi balla che mi beve
che sconquassa Questo mare che mi esplode
dalle viscere dal ventre Questo mare
che si stende di bonacce e di tormente
che dal baratro si allunga sopra il becco di delfini
con le buste della plastica a bandire le rovine
Questo mare che le trame ci accoltella come lame
conficcando le budella tra quei denti sangue e perla
entro selachimorphema della perdita gitante
anatemi ho visto nascere e non c'era nessun altro
alfabeti e religioni divulgati dalle onde
vite al largo pei naufragi e le doglie trapassate
quanto sentimento scava la mia furia che ti stringe
a quale cielo declamare la finzione e l'astrazione
quando vedo apertamente che ho perduto la razione
delle ossa mai piantate e del sangue mai sgorgato
della pietas per me stessa e il sorriso che mi chiama
che mi abbraccia che mi dice con la sua vocina mamma!
Questo mare come lava sarà faro del tramonto
sarà freddo con le spoglie perché fino a quando muove
questo mare volge il canto a tutti i fiori a tutti i mali
che ha piantato le radici da nutrire con il sale.

da Variazione Madre (a cura di Giuseppe Cerbino), Controluna – Lepisma Floema 2019

 

Coperte

In un nimbo in una coltre
così d'un fiato,
alla goccia si scioglieva in volto
una premura del tutto autunnale
ma il verso,
il verso era avvolgente e caldo.
Lontano mantenevi l'abominio
dalle mie braccia
nel dolce trogolo delle attese
respirando un po' il mattino
nella notte.
Quanta cura per l'assenza
avresti avuto, Madre,
con un bacio
rimboccando le coperte
nella stanza accanto.

Inedito, pubblicato ne La bottega di poesia a cura di Maurizio Cucchi su La Repubblica, Aprile 2019

Dove il margine

Vieni,
ti porto dove il margine vale la chiusa
e l’ombrello non ripara dalle ombre bagnate;
il chiasso alla lunga si fa silenzio
in barba ai suoni che ti appartengono.
Sono tutti pensieri
certi stupidi certi meno
ma tutti comunque dirottati
dal peso di una goccia.
Si stacca il mento quando vedi un fiore
anche quando sai non è per te.

Indedito, pubblicato col titolo “Il peso di una goccia” ne La bottega di poesia a cura di Maurizio Cucchi su La Repubblica, Luglio 2020

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