Scontro di civiltà per un ascensore a piazza Vittorio (2006) di Amara Lakhous

di Pinuccia Panzeri
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Omicidio a piazza Vittorio: una commedia all’italiana scritta da un autore di origine algerina. Questo romanzo di Amara Lakhous è una sapiente e irresistibile miscela di satira di costume e romanzo giallo  La piccola folla multiculturale che anima le vicende di uno stabile a piazza Vittorio sorprende per la verità e la precisione dell’analisi antropologica, il brio e l’apparente leggerezza del racconto. A partire dall’omicidio di un losco personaggio soprannominato “il Gladiatore”, si snoda un’indagine che ci consente di penetrare nell’universo del più multietnico dei quartieri di Roma: piazza Vittorio. Forse basta mettere in scena frammenti di vita quotidiana intrecciati attorno all’ascensore, all’origine di tante dispute condominiali, per comprendere il nodo focale del paventato, discusso, negato o invocato scontro di civiltà che assilla il nostro presente e il nostro futuro e infiamma il dibattito politico, sociale e religioso-culturale dei nostri giorni.

 

In questi tempi confusi, in cui voci contrastanti si alzano da tutte le parti per protestare contro un fenomeno su scala mondiale come la mescolanza di culture, una lettura di questo tipo è adatta per conoscere un punto di vista particolare. Anzi, tanti punti di vista particolari, perché il romanzo – breve, per la verità – è costruito in maniera molto curiosa, con le voci di undici residenti dello stabile di Piazza Vittorio che si alternano a raccontare, in prima persona, la “loro” verità. L’aspirante regista olandese accanto alla portinaia napoletana, il negoziante bengalese prima del professore milanese trapiantato suo malgrado a Roma, la povera badante peruviana, il barista Sandro, romano de Roma, insomma tutti descrivono in poche pennellate la loro realtà di solitudine, di rabbia, di perplessità di fronte a certezze di una vita che vacillano sotto i colpi di una strana modernità, di paure e di piccoli grandi atti di coraggio.

 

Ogni narrazione prende lo spunto dal fatto: l’omicidio di un delinquente di mezza tacca che viveva nello stabile, il cui corpo pugnalato è stato ritrovato nell’ascensore, quello stesso ascensore oggetto delle dispute condominiali. Un morto che nessuno rimpiangerà diventa lo spunto per far esplodere rancori nascosti e inaspettate generosità, e su tutti i personaggi, al di sopra delle loro miserie, giganteggia una figura quasi mitica, quell’Amedeo che di tutti è amico, da tutti è rispettato, risolve i problemi, aiuta, sorride, tende la mano: la parte bella di noi, che quasi fatichiamo a riconoscere quando ce la troviamo davanti.

Ciascun personaggio è, in un certo senso, uno stereotipo. Ma l’autore riesce a farlo erigere sopra il ruolo di mera macchietta.

Così abbiamo la signora Benedetta Esposito, napoletana piena di superstizioni e convinta che l’assassino sia qualche immigrato, l’iraniano Amir Iqbal Allah che decide di chiamare il figlio Roberto, per evitargli la confusione fra il nome e il cognome di cui lui stesso è vittima, la peruviana Maria Cristina Gonzales, badante di una signora di ottant’anni e terrorizzata all’idea di perdere il lavoro…. E tanti, tanti altri nomi, altri volti che si intersecano, altre voci che si uniscono al coro. Fra di esse, ne spicca una: quella dell’olandese Van Marten.

Ebbene si: molti italiani guardano con disprezzo gli immigrati e, nel loro sguardo, c’è sempre un malcelato senso di superiorità. Ma cosa succede quando loro stessi devono essere giudicati dal figlio di quell’europa ricca ed organizzata, incapaci di comprendere le lungaggini burocratiche ed il “catenaccio” che ha distrutto il bel calcio?

 

La copertina di questo libro esprime già la varietà e la moltitudine dei personaggi, con tanto di nome e cognome e nazionalità. Ecco, la nazionalità è il vero perno attorno cui ruota il racconto che, partendo dall’omicidio dell’equivoco “Gladiatore”, ci fa conoscere ad uno ad uno i personaggi del condominio da lui abitato, appunto un palazzo di piazza Vittorio, il quartiere più multietnico di Roma. Indovinatissima è la scelta di presentare ognuno di questi con la sua verità e la sua ipotesi su chi possa essere l’assassino, attraverso una miriade di congetture e diatribe condominiali che culminano puntualmente nell’ascensore, oggetto di uso comune di persone di varie provenienze e classi sociali.Ufficialmente c’è un indiziato, Amedeo, che è sospettato per il semplice fatto di essere scomparso dopo l’omicidio, ma i condomini e i suoi amici, sia italiani che no, non sono d’accordo con questa ipotesi. Amedeo sembra anzi essere l’unica persona che tutti rispettano e nel quale hanno fiducia.La portinaia Benedetta Esposito, ad esempio, lo difende perché lo crede una brava persona, e, pur dicendo che bisogna cacciare tutti i lavoratori immigrati, è convinta di non essere razzista… Attraverso le voci dei vari protagonisti affioreranno tutte le incomprensione, le false certezze e le diffidenze con cui le persone si trovano a contatto quotidianamente, in una mescolanza di episodi sia drammatici che divertenti che ci porteranno al finale inaspettato e… veramente illuminante!

 

Amara Lakhous consegna un ritratto vero e neorealista di un’Italia in cui l’integrazione non è vivere tutti felici e nel rispetto altrui, ma sopportare mal volentieri la vicinanza del prossimo, da qualsiasi parte del mondo esso venga.

Il libro è una perla che fa sorridere e allo stesso tempo fa riflettere sugli svariati luoghi comuni che animano la nostra società. Lo consiglio per comprendere i condizionamenti culturali di cui ciascuno di noi volente o nolente si trova ad essere vittima, sia nell’esprimere un’opinione, sia nel riceverla da altri. Un romanzo che fa ridere fino alle lacrime, ma porta anche molte riflessioni. Ed insegna ad avere una mentalità più aperta.

 

Amara Lakhous (nato in Algeri nel 1970) è uno scrittore, antropologo e giornalista algerino con cittadinanza italiana. Ha vissuto e lavorato a Roma dal 1995 al 2015. Ora vive a New York dove continua il suo lavoro di scrittore e sceneggiatore.
Si è laureato in filosofia all’Università di Algeri e in antropologia culturale all’Università La Sapienza di Roma. Ha lavorato sulla prima generazione dei musulmani arabi immigrati in Italia.
Nel 1994 ha lavorato come giornalista della radio nazionale algerina.
Dal 1995 lavora in Italia nel campo dell’immigrazione, svolgendo attività di mediatore culturale, interprete e traduttore.
Ha lavorato dal 2003 al 2006 come giornalista professionista all’agenzia di stampa Adnkronos International a Roma.
Nel 2006 ha vinto il premio Flaiano e il premio Racalmare–Leonardo Sciascia.

 

 

 

 

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