Questo mese vi propongo una bravissima scrittrice-poetessa di Ragusa.
Ho letto quasi tutti i suoi libri trovandoli toccanti e leggermente impregnati di dolce malinconia del ricordo.
Ancora una volta il sud ha fatto dei miracoli regalandoci questa poetessa, molto amata dalla stampa locale e nazionale con un seguito eccezionale di fans virtuali e no.
Letizia Dimartino, ci regalerà alcuni suoi versi, risponderà alla mia intervista e per chi non ancora la conosce, in allegato la sua biografia.
Seguirà nello spazio : Poesia questa conosciuta alcuni bei versi poetici di Michel Houellebecq.
Buona lettura.
Pablo Paolo Peretti – Copenhagen
Intervista lampo a Letizia Dimartino
Quanto hanno influenzato la tua scrittura i posti dove hai abitato e in che modo?
I luoghi sono il tutto del mio scrivere. Le case, le stanze, le finestre, le città. Niente ci sarebbe di me nella scrittura se essi non fossero stati così predominanti. E ogni parola è un posto diverso
Hai dei momenti particolari del giorno o della notte in cui ti senti più portata a scrivere?
Un tempo succedeva spesso di notte, perché insonne a intermittenza. Ma il giorno è stato tempo anche per scrivere, fra le voci di chi mi sta intorno, di chi mi parla, raramente nel silenzio. La vita è lo scrivere… la vita e lo scrivere
Dicono che la poesia non vende. Hai un tuo parere riguardo a questo?
Non vende perché manca l’attitudine ad ascoltarla innanzitutto. Mia madre mi recitava poesie mentre mangiavo con riluttanza, mi commuovevo e la guardavo ammirata. A scuola la amai molto meno. Leggere è un atto difficile per molti, e la poesia si è sempre ritenuta “difficile”. Chi la ama la cerca, la trova. Avere un libro di poesie in borsa, stando in giro, alleggerirebbe il vivere convulso di molti
Chi sono oggi i lettori della poesia?
Li sconosco. Pochi giovani. Pochi tutti. In ogni caso chi ha un dono dentro
Chi è il poeta che ti ha in qualche maniera influenzata e in che modo…e quale altro poeta ti ha deluso e perché?
Di sicuro Cardarelli. Molto amato. Scrivere poesia novecentesca fu il mio primo approccio, e lui mi è stato vicino. Perché parlare di chi mi ha deluso?
Hai un tuo libro/raccolta che ti è rimasto nel cuore e perchè?
Quello di Vivian Lemarque. Mi ha tenuto compagnia per anni, in tanti momenti, in tanti vuoti, cercando risposte, trovando pienezza
Come si distingue un vero poeta da uno che scrive solo bei pensierini?
È la banalità che fa la differenza. Solo che non la si sa sempre distinguere. La parola mediocre, il banale dei versi
Cosa vorresti si dicesse dei tuoi scritti e di te un giorno?
Che sono stata autentica e diversa. E, appunto… mai banale
Hai qualche poeta conosciuto sul web che ti piace e da consigliare al pubblico virtuale? E se si, perché?
Roberto Amato, vincitore di un premio Viareggio. Poeta unico, inventore, che si distingue per i temi e per il frasario
Hai la possibilità di andare a cena con un poeta Famoso (puoi scegliere da quelli che furono e quelli tutt’ora in vita) …chi vorresti vicino a te e perchè?
Raboni. Era un gran signore
BIOBIBLIOGRAFIA
Letizia Dimartino è nata a Messina nel 1953 e vive a Ragusa. Ha pubblicato libri di poesia, è stata ospitata in antologie e scrive per l’inserto culturale de «La Sicilia». Ha esordito nel 2001 con la raccolta di poesie Verso un mare oscuro (Ibiskos, Empoli), seguita da Differenze (Manni, Lecce 2003), Oltre (Archilibri, Comiso 2007), La voce chiama (Archilibri, Comiso 2010), Ultima stagione (Giuliano Ladolfi Editore, Borgomanero 2012). Il suo ultimo libro, Stanze con case, è uscito nel 2015 per Giuliano Ladolfi Editore. Recensioni di Ultima stagione e Stanze con case sono apparse su «La Lettura» del «Corriere della sera», «La Stampa», «La Sicilia», interviste e altri scritti sono stati pubblicati sugli inserti “Io Donna”, “Sette” e “Sicilia Style” del «Corriere», oltre che su «La Sicilia». La silloge Cose, tratta da La voce chiama, è stata pubblicata sull’«Almanacco dello Specchio 2009» (Milano, Mondadori 2010), mentre la raccolta Fino a quando esisto è inclusa in «Quadernario – Almanacco di poesia 2015», curato da Maurizio Cucchi per LietoColle. Sue poesie e recensioni sono apparse su diverse riviste letterarie, tra cui «Atelier», «Polimnia», «Poeti e Poesia», «Poesia» (con 25 poesie, a cura di Maria Grazia Calandrone), «Almanacco del ramo d’oro», «La Mosca di Milano», «La Recherche». Racconti e poesie si trovano anche online su corriere.it, rainews.it, il
Poesie inedite di Letizia Dimartino
Mettevo il rossetto. Credevo di vivere
Succede che stando seduta le seggiole diventano leggere. Noi pensiamo di avere ancora braccia che sospirano, giacche su spalle in bilico e scialli che cadono sulle gambe.
Era estate anni fa e mi stringevo le dita, i lacci intorno, uccelli liberi e pietre in attesa.
Le lenzuola dondolavano sui letti, il tulle intorno alle zanzare, le ossa contorte
e un sibilo umile usciva dalla bocca. Perché non eravamo, lo ripetevo stando poggiata ai tavoli, o sui cuscini. Non mi si chieda cosa scrivo.
In fondo, fra vapori e finestre, dietro vetri e giornali, in stanze e balconi, ogni cosa al suo posto, è la testa che duole. Ed il battito.
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E se si è stanchi ci resterà la mano nei capelli.
Io ho verruche e forfora e disforia e tu sai ridere se ancora lo so dire.
Su quel tavolo di marmo rosso poggio i gomiti. Sui letti metto
coperte imbarazzanti, apro gli armadi dove nascondo le ossa di questo corpo.
Oggi c’è nebbia – sottile. E sotto, un cielo pallidissimo.
Si sta fermi. In silenzio
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Se dovessi pensare che in questo fuori, nel gioco di chi è spento, col vuoto e poi il grigio
– tu che prendesti le mani, il treno dove stazioni tacciono, il peso di questo bicchiere le dita sulla tavola le spalle ed il vestito sceso sulla pelle – tu, dovessi mai pensare, tu – dicevo – dove lo porteresti il corpo mio che spezzo.
( son trucioli loro, li vedi?)
————
Parlami. Questo é un marzo di nebbia. Di gocce. Forse di silenzio. Parlami, poco.
————–
Perché il mare era silenzioso e lui stava lì
quando braccia distese dicono
che si può anche non essere
in una terra che rivolta il capo
il suo, il nostro.
Noi stiamo. Fermi. Dove tutto finisce
e non esiste più il pianto
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E si è fatta notte negli armadi,
sui vestiti sui mobili
con le ombre e i cristalli.
Il mare l’ho scordato
e pure il vento e il sonno
e pure le case coi balconi
stavano spalancati, ne usciva il suono.
Io ero contro il buio. Cercando
——————-
I miei capelli cadono
e gridano insieme e forse hanno un sorriso
o forse la paura li attorciglia
mio padre mi guardò in quella sera
chiedeva aiuto, io lo so, era tutto negli occhi
e io avevo ancora chiome bionde sul collo
il mio corpo si disfa piangendo
mia madre con le piaghe
il nero liquirizia della pelle.
Non parliamo più noi tre.
Noi siamo il silenzio.
—————————-
Queste mani. Hanno il bianco
il mattino, le lenzuola, la paura.
Tutto.
Hanno dita, che girano
che piangono. Queste mani.
Loro
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E se questo colore dorme
– le braccia
e il collo nella loro piega –
sarà un dolore, una attesa
un semplice rifiuto del mio amare
tu impara a darmi ogni piccolo
grumo di polvere. Così il tuo piede
che batte insieme a quella goccia
avrà un posto, un segno bianco
in me
———–
Le voci d’ospedale
sento il ritmo della cicala
nel grido della donna
oltre la cornetta
le nostre parole
il riso e la pena
stai immobile
leggi Pascal
con vertebre
che ci uniscono
il corpo
i giorni tuoi e miei
domenica di ottobre
città lontane, un sole
tiepido qui. Dimmi
se avremo altri giorni fermi.
Inghiotto una pillola
la tua sul comodino
e stiamo. Stiamo
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Avevi un nome. Un maglione.
Ti avevo stretto le mani
era spesso giorno
e spesso notte
fra medicine e lenzuola
tacere era difficile
poi, senza sguardo,
nel vuoto di un letto
credevo di scordare
il nome, il maglione.
E me
Sono dove le porte si chiudono
e le finestre hanno vetri impolverati
sopra un cuscino sgualcito
davanti a un libro che sconosco
oggi non trovo neanche il mio cappello
la borsa dei rossetti
il labbro in ghigno di guerra
e i cassetti serrati
Avevo un amore un tempo
senza trasparenza.
Ormai dormo in inverno,
il letto e le sue stagioni.
Fu una vita, questa
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Sono cresciuta d’acqua e di visioni
ma non fui io. Perché le strade non portano mai
lì dove il cuore ha colpi bassi
il peso sulle anche, e gli occhi fuori
le scarpe e l’erba e il cielo che già conoscemmo
noi fummo folli in un altro tempo, ricordi?
E adesso si fa buio come allora
nel sacco il pane ed il rosario
mi salutasti piano, senza la mano
ti dissi vai che poi ritorni tu
il grazie tuo il dopo mio, la strada sotto la notte
avrai dei giorni e non saranno questi
mi salutasti piano e il sonno lo dimenticasti
e tutto, poi, e tutti.
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Mi scatti una fotografia qui, poggiata ad una porta. Ho il sole sulle spalle
fuori la via e il giorno. Mi manca il senno. Me lo dicono che sono santa e ingenua
che il tempo non passa e le bocce dei profumi brillano sulla consolle.
Sappi che invece spruzzo pensieri senza odore e le mie gonne non bastano
a riempire armadi e questa mente stanca. Non so più muovermi
non conosco il ramo e la foglia che mi porgi. Siamo lontani, in una città
che non si commuove. Qualcuno parla. Ero bambina e stavo in una stanza.
Quando i vetri sbattevano lui correva e il vento lo trascinava, io piccola guardavo
era come una fine, come perdere gli abiti e soffrire.
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C´è un principio di vuoto
nel passo che non riconosco
una fame di muscoli
la fine di ogni cosa.
Invece stendo il braccio
nel gesto sconosciuto
le dita remote
la luce che si perde sul retro
dei palazzi, i profili neri
lo specchio che taglia
nella lama d’acciaio.
Tutto io tolgo alle labbra
la saliva, il morso, il rosso
del belletto. Tutto.
“Niente io vorrei”. E lo dico
d’un fiato. Con tremore.