Un nostalgico tuffo nel passato, nelle lunghe e torride estati italiane degli anni 80, in cui il tempo sembrava sospeso tra divertimenti semplici e ozio. Questo è il sapore di “Chiamami con il tuo nome”, il film di Luca Guadagnino, candidato a 4 premi Oscar e che ha portato a casa la statuetta per la migliore scenografia non originale. La storia d’amore tra Elio (Timothée Chalament) ed Oliver (Armie Hammer), ispirata al libro di Andrè Aciman, ha come sfondo la splendida villa Albergoni, le città di Crema e Bergamo, il paesaggio incantato e senza tempo della campagna lodigiana, del lago di Garda, delle cascate del Serio.
Al di là di ogni critica che si possa muovere al film (e ve ne sono), una sola cosa è certa: l’atmosfera idilliaca e un po’decadente è suggestiva, le rievocazioni del periodo e le ambientazioni ricreate a regola d’arte colpiscono lo spettatore diritto al cuore, risvegliando memorie assopite di quando “vacanza” significava leggere un libro sulla sponda di un fiume all’ombra di un albero, lunghe passeggiate in bicicletta nell’opulenza della campagna italiana gravida dei suoi frutti, nuotate e partite a pallavolo o a carte con gli amici, musica rubata ad un’autoradio per strada, appisolarsi su una sdraio cullati solo dallo stormire delle foglie.
Nel 1983 non c’erano telefonini, computer e videogiochi a tenere la mente costantemente occupata, a distrarre dai propri reali desideri e bisogni e da quelli degli altri e così i protagonisti hanno tutto il tempo di godere di ogni singolo istante del loro amore proibito, puro e carnale allo stesso tempo, di viverne appieno i mille turbamenti, di lasciarsi travolgere dall’incontenibile desiderio di appartenersi, al punto di scambiarsi i propri nomi.
I tempi del film sono sapientemente dilatati su scene in cui non è l’azione protagonista, ma la bellezza: dei luoghi, della natura, dell’arte, della musica. La videocamera si sofferma sulla calda luce che avvolge le giornate, su opere d’arte, libri e musiche, sul tepore delle notti estive; indugia lunghi istanti sulle emozioni degli personaggi, a partire dalla sconvolgente scoperta di provare un’attrazione inaspettata, fino al dolore della perdita, per dare il tempo allo spettatore di rintracciare analoghe sensazioni dentro di sé e riviverle, perché la magia dei primi amori, le malinconie, le fragilità, gli entusiasmi e le delusioni adolescenziali sono universali e ognuno ne custodisce il ricordo.
Un film, dunque, che incanta chiunque sia disposto a mettere da parte la frenesia dei nostri giorni e immergersi in un mare di sensazioni dove, sulla fretta e sul rumore primeggiano lentezza, piacere, capacità di cogliere la bellezza in ogni cosa perché, alla fine, questo è l’insegnamento che il padre di Elio gli suggerisce di trarre dalla sua storia con Oliver: non lasciare che il dolore soffochi la gioia di aver vissuto qualcosa di bello, raro e indimenticabile. Un discorso che ciascuno di noi da adolescente, senza distinzione di genere, avrebbe voluto ascoltare dal proprio padre.